Il concetto del tempo di cui si parla in questa pagina necessita di qualche iniziale riflessione. Apparteniamo al tempo in modi diversi, nello stesso momento. Sentiamo il tempo in modo diverso, nello stesso istante. Come se il tempo avesse varie dimensioni che coesistono senza escludersi.
Il tempo e il dolore interagiscono, ve lo può confermare qualsiasi paziente. Il concetto di tempo è distorto nel dolore, viene distorto dal dolore cronico. Progettare un futuro anche banale, un viaggio, una cena con gli amici, a volte diventa impossibile. Spesso si progetta per accontentare le persone vicine e care, per offrire a loro una parvenza di “normalità” di vita. Ma il paziente ne farebbe volentieri a meno. Lo rassicura molto di più sapere che quel giorno, il giorno della partenza per il viaggio, la sera della cena, se arriva l’emicrania per esempio, avrà la libertà di chiudersi in una stanza e dormire al buio, senza pesare sulla vita di altre persone. Bene o male, ognuno di noi ha la propria vita. Questa è la sua.
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Il tempo ciclico della natura
Apparteniamo al tempo della natura, un tempo ciclico e inesauribile. Impietoso, monotono, prevedibile, assolutamente certo, certo come la morte e forse “anche le tasse”.
Questo tempo è ben rappresentato dall’alternanza ciclica delle stagioni, oppure dalla nostra esistenza. Si nasce, si cresce, la natura ci fornisce spinta riproduttiva e aggressività, la forza per proteggere la prole, per poi privarci gradualmente di tutto. Sia dell’aggressività, che dalla capacità di procreare. Ci rende inutili come funzionari della specie. La nostra tecnologia, la medicina ha procrastinato la terza età, abbiamo prolungato la vecchiaia (più che la vita vera, in termini naturali)., Ma alla fine la natura prevede alla nostra morte. Nascita, crescita, morte. Il tempo ciclico inesorabile e inalienabile della natura.
Triste, no? Triste perchè lascia poco spazio all’indeterminatezza del desiderio. Desidero quello che non ho. Quello di cui dispongo, al massimo lo vivo. Il tempo ciclico della natura non ha nulla a che fare con i nostri desideri e i nostri progetti di vita. Nei nostri pensieri, nei nostri programmi, esiste sempre il “domani”, il “dopo”, che nel tempo della natura è uguale al “prima”. Alla natura non interessa se nel nostro successivo istante siamo vivi o morti.
Per il nostro insignificante “io” invece il “domani” è fondamentale: il nostro “io” un giorno vuole trovare il modo per raggiungere un risultato e attraverso quel traguardo sentirsi gratificato.
Il tempo dell’ “io”
Viviamo contemporaneamente il tempo del nostro “io”, il tempo caratterizzato da un obiettivo, uno scopo. Il “tempo scopico” come lo chiama l’immenso Umberto Galimberti.
E’ un tempo brevissimo: spesso dalla sua immediatezza dipende anche la realizzazione dello scopo. Il mezzo e lo scopo devono esistere nello stesso momento. E’ quello che abitualmente chiamiamo “cogliere l’attimo”, opportunità.
Un mio desiderio, un mio progetto e la sua realizzazione hanno un senso per me, hanno un valore adesso: Un amico stava per anni progettando un viaggio nella “zona rossa” dell’impianto nucleare di Chernobyl. Nel 2022 finalmente era arrivato il suo momento, ma la guerra in Ucraina era scoppiata e poco dopo l’impianto era stato di nuovo compromesso. A Chernobyl non ci andrà mai. Essendo una persona intelligente ha goduto del desiderio di andarci. Ma per la realizzazione del progetto del suo “io”, aspettare altri mille anni affinché la zona diventi sicura, non è possibile.
La mia gratificazione, strettamente legata alla soddisfazione dell’io e alla definizione di quello che sono, dipendono dalle mie capacità, dai miei mezzi e dai scopi che mi prefisso. “Pan Metron Ariston” sostenevano i greci antichi: tutto deve essere eseguito secondo misura. E’ inutile che il nostro “io” fissi obbiettivi di cui non siamo capaci o per i quali non disponiamo i mezzi. Penna la delusione, la non crescita, la non soddisfazione.
Ci si propone uno scopo, si accede ai mezzi e si realizza l’obbiettivo.
L’influenza degli dei
Sul tempo scopico, in particolare quando questo si dilata, può intervenire un’altra dimensione del tempo: quello che i greci chiamavano “kairos“. L’influenza della volontà divina. Quello che succede per favorire o impedire il raggiungimento dello scopo. Il tempismo è tutto. immaginiamo un cacciatore che cerca di uccidere una preda. Se i dei desiderano, un soffio di vento, imprevisto, può impedire la riuscita del colpo.
Esiste nell’accezione comune un “momento giusto” per fare qualsiasi cosa. Il desiderio di un viaggio a Madrid con un gruppo di amici non può essere rinviato di 10 anni, perde tutto il suo significato. Le amicizie cambiano, i desideri anche, i contesti pure. Interviene il kairos.
Il raggiungimento di uno scopo dipende dall’individuazione dello scopo giusto, al momento giusto, con i mezzi giusti. “Quando è tardi, è tardi” diceva un amico.
L’eternità
Per alcuni una certezza, per altri una favola. Comunque sia, l’eternità rappresenta un concetto prevalente della nostra cultura cristiana. La natura è buona, ogni giorno che Dio la creò “vide che era cosa buona e giusta”. E poi la regalò all’uomo: forse l’unica cultura in cui Dio offre all’uomo il dominio sui pesci, sui volatili…. sulla natura. Non solo, ma alla base dell’appartenenza al cristianesimo si dichiara: “Credo nella risurrezione della carne e nella vita eterna“.
Non solo la natura appartiene all’uomo, ma anche il tempo, secondo il cristianesimo. La nostra società è profondamente Cristiana; non basta professarsi atei per sbarazzarsi di una cultura che nel domani indefinito offre la speranza del raggiungimento di un obbiettivo. Se lo scopo non si raggiunge in questa vita, sarà in quella dopo, in cielo o dopo la resurrezione. Con la certezza assoluta di un “credo”. Il “credo” non si mette mai in discussione: detiene la verità assoluta, è irremovibile.
Quanti di voi avete pensato che “in questa vita è andata così, nella prossima andrà meglio”? Io ne conosco qualcuno, anche qualcuno che in fondo pensa di essere un agnostico, un ateo….
Il tempo e il dolore
Il dolore non appartiene all’eternità. Nessuno sembra consolarsi pensando che in un giorno lontano, il suo dolore lo renderà più puro e lo userà come un biglietto da visita per un posto migliore nell’altro mondo. Almeno i miei pazienti non mi pare ragionino così..
Il dolore interferisce con il tempo “scopico“, il tempo personale, il tempo dell’io. Non permette oggi o domani di fare quel che si desidera. Non si può progettare il weekend perché non si sa come si starà, oppure si sa che si starà male.
Il dolore non permette di progettare il domani, non permette di sognare il futuro, Il dolore cronico spesso si impossessa della totalità del nostro tempo. Diventa una ragione di non-vita. I pazienti si sentono spesso colpevoli di rubare la vita anche di chi con affetto gli sta vicino.
Più il dolore permea la nostra quotidianità, più si impossessa del tempo del nostro “io”, più la vita perde senso.
Esiste una forma di emicrania, l’emicrania cronica continua: dolore emicranico tutti i giorni del mese, al massimo con la pausa di qualche ora al mese. In questi pazienti “l’ideazione” anticonservativa supera il 40%. Quando si parla di “ideazione” non si riferisce al semplice pensiero di “farla finita”. Si immagina la propria fine, si progetta il proprio suicidio. Di questi, prima o poi, l’11% riesce a togliersi la vita.
Il dolore cronico, o almeno alcune sue forme, ci priva totalmente del tempo del “io”. Il tempo ciclico appartiene alla natura, non a noi. Non ha nessun senso per la nostra persona.
L’eternità non è gratificante, non è nemmeno una consolazione. E così nel film Wenders, Emit Flesti decide di rinunciare all’eternità per provare emozioni. Decide di non essere più un angelo eterno con le ali ma un “mortale”. Persino lui che si chiamava Emit Flesti: l’anagramma di Time Itself. Lui stesso era il Tempo.